Nel tentativo di dire qualcosa circa ciò che identifichiamo col nome di “spazio urbano”, un possibile approccio potrebbe muovere il primo passo con uno spostamento di accento sul piano semantico: l’utilizzo del sostantivo “spazio” in questo caso sembra evocare qualcosa in sé di già preventivamente dato, come una tela bianca da riempire di segni, o un palcoscenico su cui si avvicendano i personaggi che di volta in volta appaiono nel delineare le vicende umane.
In questo senso si ha l’impressione di avere a che fare con un sostrato ontologico preesistente, un a priori solidamente ed invisibilmente presente a sostegno del divenire. Ciò che si può andare a perdere nella comprensione della realtà con l’utilizzo di una concezione tale è allora la natura intrinsecamente processuale dello spazio, la quale fa sì che questo non possa essere semplicemente lasciato sullo sfondo dello svolgersi delle dinamiche storico-sociali, bensì le attraversi e ne sia attraversato pienamente, esprimendo cioè con Edward Soja non solo che quel che è spaziale è sociale, ma anche inversamente che “quel che è descritto come sociale è sempre allo stesso tempo intrinsecamente spaziale”.
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