Salute mentale: dov’è l’Università?

La gestione incoerente degli spazi di studio dell’Università, per cui invece di aprire nuovi spazi ne vengono chiusi altri, possiamo ricondurla alla volontà di arginare e limitare i contagi: quello che emerge è una concezione della salute puramente fisiologica, fisica (da cui la possibilità di effettuare tamponi gratuitamente da parte di studenti e studentesse, cosa del tutto lodevole), marginalizzando gli aspetti meno tangibili degli effetti della pandemia sulla salute mentale di studentesse e studenti.

Stiamo vivendo dei mesi di totale incertezza e insicurezza: la situazione epidemica, lo sappiamo, è in divenire, soluzioni e decisioni statali devono adeguarsi di conseguenza; quello che si vuole sottolineare è che l’Unibo, che possiede un ampio margine di autonomia decisionale nel contesto regionale/comunale bolognese, non ha fatto niente per cercare di limitare questa situazione di instabilità.
Anzi non fa che acutizzare sentimenti d’ansia e precarietà già presenti per la situazione pandemica: le decisioni che sono state calate su una popolazione studentesca stanca e provata, non prendono in considerazione le condizioni effettive di vita, non tentano di comprendere come realmente sia la vita pandemica.
Affianco a questi atteggiamenti di disinteresse, vediamo palesemente come l’Università ignori le problematiche psicologiche della comunità studentesca, e questo da ben prima del Covid-19; se è vero che Unibo ha attivato il SAP (Servizio di Aiuto Psicologico a Giovani Adulti), è anche vero che l’accesso a questo servizio è un’epopea fatta di liste d’attesa molto lunghe (si parla di mesi per effettuare una seduta con un* psicolog*). Il servizio, inoltre, non ha come scopo quello di instaurare un dialogo concreto e continuo con la persona che vi si rivolge, ma piuttosto quello di indirizzarla verso uno studio privato (dove una seduta in media costa 60 euro) dopo due o tre sedute con gli operatori dell’Università.
Non ci sono ancora ricerche esaustive sugli effetti psicologici della pandemia, ma diversi studi, tra cui quello effettuato dal “Centro di Riferimento per le Scienze Comportamentali e la Salute mentale” (analizzato dal Fondo Asim), evidenziano come ci sia stata una crescita dei livelli di ansia e depressione, causati da quarantena, difficoltà economiche ecc [1]. E allora come si spiega il fatto che adesso il SAP fornisca il servizio esclusivamente da remoto? [2]
Si ripete quella razionalità incoerente che è stata applicata con le biblioteche: i disagi psicologici sono “aumentati”, si sono esasperati, e l’Università che fa? Rende quel servizio, già di difficile accesso normalmente, ancora più irraggiungibile.
In generale, come è già emerso dagli altri punto del foglio, sembra che si stia affermando sempre di più la volontà attiva di de-personalizzare e de-corporizzare l’Università, di trasferirla nell’etere della didattica digitale, e questa direzione si può vedere chiaramente nello scarso rilievo dato alle problematiche psicologiche da parte dell’Unibo.
Ad un tempo, l’Alma Mater Studiorum di Bologna spinge studentesse e studenti lontano dagli spazi in cui si creano quelle connessioni tra soggettività che costituiscono la linfa vitale dell’Università (o almeno dell’Università che vogliamo vivere), eliminando la possibilità di creare rapporti umani vivi che vadano oltre lo schermo. Allo stesso tempo però, elimina anche la possibilità di rivolgersi a specialist* della salute mentale per confrontarsi su problematiche e disagi personali, spesso generati dalla stessa situazione di isolamento in cui ci troviamo a vivere.
L’Università ha investito sulla digitalizzazione, sull’ “innovazione”, sul cambiamento. Ammesso e concesso che questi investimenti siano stati fatti in buona fede (e non, come abbiamo scritto sopra, con l’espressa volontà di astrarre l’Università dalle persone che la costituiscono seguendo un modello aziendale), in questo processo di innovazione i carichi emotivi e psicologici provocati e/o accentuati dalla pandemia (e dall’Università pandemica) sono stati oscurati e messi da parte, attivamente ignorati.
I disagi che le studentesse e gli studenti avvertono evidenziano in maniera lampante come gli obbiettivi dell’Unibo (quelli cioè per cui l’importante è il numero di laureat* a fine anno, propositi creati da un modo di ragionare aziendale e meccanico), comportano un’agitazione e una frenesia per l’ottenimento di risultati (i cfu per esempio), per cui la vita e le esperienze individuali (ma anche collettive) risentono di questa corsa contro il tempo e verso un traguardo/premio.
In questo modo, tutto il processo di interazione con i saperi e il loro apprendimento si svuotano di valore e si riducono a semplice step preparatorio per il conseguimento dei crediti/laurea.
E ritorna anche la questione delle tasse: se all* student* è stato affidato il compito di: procurarsi mezzi tecnologici (Pc), avere una connessione internet stabile, spazi in cui seguire le lezioni con attenzione…, adesso si trova a dover spendere tantissimi soldi per poter ricevere sostegno nell’affrontare difficoltà psicologiche.
I soldi delle tasse non sono stati investiti affinché si potesse usufruire degli spazi universitari in sicurezza; non sono stati investiti per procurare alla popolazione studentesca un supporto tecnologico adeguato (e non come le poche e insufficienti sim da 100GB) per potersi confrontare con l’Università pandemica e digitale; non sono stati investiti per rafforzare il SAP in un momento in cui sarebbe necessario potenziare sportelli di ascolto e dialogo.

[1] Quale impatto ha la COVID-19 sulla salute mentale – Fondo ASIM
[2] https://www.unibo.it/it/servizi-e-opportunita/salute-e-assistenza/servizio-di-aiuto-psicologico-a-giovani-adulti-sap